Iris

19 giugno 2020, anche questa mattina, la sveglia è suonata alle 6.

Mi preparo in fretta perché devo andare a fare una visita a Milano.

Mi farò accompagnare in stazione  da due amici, Fabio e Alessia, così avremo del tempo per una chiacchierata.

Proprio prima di uscire di casa, Flavia mi dice che ha avuto delle contrazioni, ma non significative, di andare tranquillo altrimenti poi mi sarebbe saltata la visita che stavo aspettando da un po’. Ci salutiamo con un “Al massimo ci sentiamo” … appunto.

Durante il viaggio in auto, racconto le disavventure della settimana precedente,  prima tra tutte la menata di Gioele con la salmonella  e la preoccupazione di Flavia per un eventuale contagio in vista del parto.

Arriviamo al locale che avevo scelto per la colazione, chiuso!

Proviamo con quello a fianco. Dal cartellone fuori con scritto apertura ore 6.00 ci sentiamo tranquilli. E invece, chiuso pure quello.

Decidiamo allora di trovarne uno in zona stazione. Infatti ne troviamo due, uno di fronte all’altro. Il primo, piccolo, senza tavoli per sedersi, con gente che entra e che esce per i giornali, lo scartiamo.

Puntiamo tutto sul secondo. Ci ispira il portico esterno con i tavolini. Entriamo, Alessia ordina per tutti. Tre cappucci e tre brioches. In realtà io avrei voluto un succo, ma mi adeguo e m’immagino già seduto sulla tazza della rinomata clinica milanese vicinissima al duomo. La scelta delle brioches è piuttosto limitata e per non rischiare troppo ne prendo una liscia. Soddisfatto della mia scelta controcorrente rispetto ai compagni di merenda, per meglio dire di colazione, mi accomodo su uno dei tavolini all’aperto.

Arriva tutto subito, con Fabio che si prodiga a fare il cameriere.

L’aspetto dei cornetti non lascia ombra di dubbio.

Scongelati, scaldati… troppo, e poi serviti al tavolo.

“Forse era meglio quell’altro baretto”, “Che sfiga”, “Saranno mica brioches” sono i commenti a caldo.

Addentare il cornetto e ricoprirmi di briciole è stato un attimo. Giusto il tempo di ripulirmi, per darmi un minimo di contegno, e suona il telefono, con quella suoneria inconfondibile che mi fa capire subito chi c’è dall’altra parte del filo.

È Flavia.

Mi dice: “Ho contrazioni regolari ogni otto minuti!”.

“Bene rispondo io, arrivo subito, siamo ancora al bar!”

Lei: “No ma fai con calma, finite pure la colazione”

Ovviamente, chi lascerebbe sul tavolo una prelibatezza di quella portata …

Trangugiamo tutto e ci fiondiamo in macchina.

Fortunatamente, Fabio è passato a prendermi con l’auto vecchia, per lo meno affidabile; l’altra, quella nuova, era in riparazione… non oso immaginare se ci avesse lasciato a piedi proprio in quel momento!

Eccomi a casa. Cosa dicevano? Di tenere tutto pronto che nel momento clou non si sarebbe dovuto perdere tempo a preparare l’occorrente.

Infatti noi l’abbiamo fatto, a metà.

Quindi prepariamo le cose che avremmo dovuto, ma non abbiamo preparato, carichiamo Gioele in macchina e via dalla nonna Uccia. 

Incontriamo mio papà in giardino, ma non proferisco parola, anche perché non mi avrebbe sentito e avrei dovuto attivare il repeat, rischiando di perdere tempo prezioso. Lasciamo il piccolo ai piedi della scala della nonna e ce ne andiamo.

Ormai il piccolo sa salire dalla scala …

La vera notizia però è che alle 8.30 la nonna e lo zio Valerio sono già svegli, strano.

Pronti, via, direzione Merone.

Sì perché abbiamo deciso di far nascere la nostra piccolina in casa maternità.

La Quercia ci aspetta. Anche Isabella ci aspetta: per fortuna che non ha atteso la conferma di Flavia per uscire di casa, altrimenti non l’avremmo trovata di certo al nostro arrivo.

Fuori dalla porta c’è un buon profumo di incenso a darci il benvenuto.

Flavia è dolorante ma serena.

Durante il viaggio continuava a cambiare posizione per sentire meno dolore, perché nel frattempo le contrazioni sono passate da ogni otto minuti a tre.

Veniamo accolti con calore, così la frenesia che respiravamo fino a poco prima lascia il posto alla tranquillità che ci trasmette Isabella.

Io proseguo il mio lavoro di facchinaggio mentre le donne si preparano, ognuna a suo modo e in base ai ruoli, nella camera.

Mentre scarico l’auto, vedo fiondarsi nel parcheggio Isottina.

Finita l’opera di manovalanza, entro in camera e vedo già Flavia sul letto.

L’atmosfera è suggestiva. Le luci soffuse a forma di fiore mandano tonalità di rosa aiutate anche dal colore dei muri. Insieme alle persiane accostate, ai disegni alle pareti, alla vecchia madia vicino alla porta, mi trasmettono un senso di intimità, di tranquillità; mi sembra quasi un luogo di vacanza. Una casa di campagna, o una baita fuori dalla confusione, una camera da dove si intravede il mare.

Ecco, adesso torniamo alla realtà. Con i dolori più intensi ci raggiunge anche Claudia e a questo punto mi accorgo di essere l’unico maschio in mezzo a quattro donne, che tra poco diventeranno cinque.

Non posso certo fare brutta figura di fronte a così tanto pubblico, allora mi attivo per fare la mia parte, la mia piccola parte.

Mi sento un po’ a disagio, perché nonostante cerchi di incoraggiare Flavia, di coccolarla, di darle la mano, di accarezzarla, di sussurrare parole dolci, non è che posso risparmiarle il dolore e magari qualche timore.

Le cose qui in ogni caso vanno avanti e abbastanza velocemente. A un certo punto mi sembra di sentire un rumore non nuovo. Qualcuno si è buttato in piscina. Invece mi sbaglio, si sono rotte le acque. Mah, credo che con tutto quel liquido non dico che avremmo potuto risolvere il problema della siccità estiva, ma sicuramente avremmo contribuito in modo significativo

Vedo che comunque Flavia, sempre con un po’ di tentennamenti,  accetta i suggerimenti delle ostetriche.

Da subito mi accorgo che si sente tranquilla e serena nelle mani di queste donne. A dire il vero me ne ero già accorto quando l’ho accompagnata a fare la prima visita. L’approccio, la modalità, l’attenzione, erano proprio quello che lei cercava e di cui sentiva di aver bisogno in un momento bello, ma molto delicato che è il parto. Ma non solo in quel momento, anche nell’accompagnamento e nel post.

A un certo punto vedo sbucare la testolina di Iris, da un po’ è lì tra il dentro e il fuori e mi dico che tutto sommato il mio ruolo di marginalità non è poi così male! All’invito da parte delle ostetriche di toccare la testolina della mia bimba ho un po’ timore, cioè, non è ancora nata e posso già toccarla. Che cosa strana!

Sta di fatto che sguscia fuori e mi sembrava di vedere quei ragazzini intrepidi che si buttano dagli scivoli acquatici senza paura e in un attimo sono già alla fine.

Che bello vedere Flavia felice con la sua bimba vicina vicina, quasi come se fosse ancora dentro di lei.

Durante il travaglio e il parto in casa maternità  ho vissuto un mix di pensieri razionali ed emozioni.

I primi riguardanti le mie preoccupazioni e paure. La mia marginalità nel momento. I movimenti, le parole, gli atteggiamenti delle ostetriche.

Le seconde relative al miracolo della vita, alla responsabilità di essere padre per la seconda volta, alla capacità di essere sempre all’altezza come marito oltre che padre. Alla fiducia nelle persone che avevo intorno, alla certezza che Flavia si sentiva in buone mani.

Anche nei momenti successivi al parto ho visto bene questa serenità in lei, e ho pensato che ci trovavamo nel posto giusto con le persone giuste. È continuato ancora per un giorno quel clima di vacanza dopo il parto in casa maternità.

Ringrazio Isabella per la preparazione, passione, fermezza e sicurezza che trasmette.

Ringrazio Isottina per la competenza, tenerezza e per la sintonia che sa creare.

Ringrazio Claudia perché con la freschezza e l’entusiasmo degli inizi ci dà fiducia e speranza.

Ringrazio anche Luisa e Anna del contributo che hanno dato per completare il quadro.

Sappiamo che continueranno a seguirci, ma adesso tocca a noi, mamma e papà.

Io per primo ho molta strada da percorrere per essere un buon padre. Purtroppo non esiste un libretto d’istruzioni per diventarlo, anche se mi piacerebbe che ci fosse. Già da questi primi giorni emergono le mie mancanze e inadeguatezze nella gestione soprattutto di Gioele, che peraltro non mi è mai risultata facile neanche prima.

Un mio desiderio è che anche i padri possano avere un aiuto da vicino, un sostegno, un consiglio, anche pratico, per affrontare le difficoltà magari piccole, ma quotidiane, intrinseche dell’essere padre e marito. Quei piccoli ostacoli da superare che però possono sembrare enormi tra le tante cose alle quali pensare. Che poco alla volta rischiano di farti sentire inadeguato e incapace.

Tutto per il bene nostro, dei nostri figli, delle nostre mogli/compagne, direi di tutta la comunità.